Non è più solo una questione di tecnica e passione, né soltanto di vigna e cantina. Oggi l’enologo è molto di più: è il crocevia fra scienza, agricoltura, marketing e tendenze globali. A raccontarlo con lucidità e competenza è Luca Matarazzo, giornalista, relatore e degustatore dell’AIS in Campania, figura da anni immersa nel mondo del vino tra degustazioni, concorsi e confronti quotidiani con i professionisti del settore.
«Fare l’enologo oggi significa avere una visione complessa e dinamica, sapere di vino ma anche di clima, mercato, comunicazione e strategia – spiega Matarazzo. Non si può più improvvisare. È un lavoro che richiede studio, metodo e capacità di adattamento. Ma proprio per questo è un mestiere che ha un grande futuro».
Il cambiamento climatico, in particolare, ha reso poi indispensabile un lavoro di squadra con agronomi e altri esperti. «Quando il danno in vigna è fatto, la cantina può fare ben poco» – spiega Matarazzo. Una vigna colpita da siccità, grandinate o malattie non restituisce uve sane, e da una cattiva materia prima non si può pretendere un grande vino. Ecco perché le competenze agronomiche sono ormai parte essenziale del bagaglio tecnico dell’enologo moderno.
Il lavoro si complica quando si arriva in cantina e si devono fare scelte non solo tecniche, ma anche strategiche. «L’enologo deve avere in mente il mercato già quando valuta lo stato di maturazione dell’uva. Non basta fare un buon vino. Se non è vendibile, resta in cantina. E il produttore non aspetta».
Il confine tra arte e commercio è sempre più sottile: maturazioni zuccherine e fenoliche vanno lette anche in chiave stilistica, per evitare vini sbilanciati, troppo tannici o fuori target rispetto alle richieste del pubblico. Lo scenario del vino mondiale, d’altronde, è in rapida evoluzione.
«Negli anni ’90 si cercavano vini morbidi, vanigliati, quasi dolci. Oggi anche il mercato americano apprezza vini più freschi e strutturati. I gusti cambiano, e con essi le strategie produttive. Il buyer estero, che spesso determina il successo di un’etichetta, guarda a prezzo, gusto e potenziale di mercato. Il resto è poesia».
In un contesto in cui il consumo di vino cala, ma cresce l’attenzione per la qualità, l’enologo deve anche saper garantire costanza e standardizzazione, senza snaturare l’identità del prodotto. Eppure, nonostante l’alto livello di competenza richiesto, il percorso per i giovani non è semplice.
«Spesso gli enologi devono iniziare da piccole aziende, con compensi modesti, facendo consulenze multiple per far quadrare i conti. Ma è un lavoro con grandi prospettive. Le cantine che possono beneficiare di una consulenza professionale sono tantissime, anche in territori dove meno te lo aspetti, come certe aree del Chianti o del Sud».
Anche la Campania, storicamente più restia all’apertura, sta cambiando. «Molti enologi campani hanno fatto esperienza altrove e sono tornati con competenze preziose».